Il Parasole
El Quitasol, titolo spagnolo del dipinto, è uno dei cartoni preparatori realizzati da Goya per il ciclo di arazzi destinati a decorare la sala da pranzo del Palazzo del Pardo a Madrid, la residenza di caccia dei principi delle Asturie: il futuro re Carlo IV e sua moglie Maria Luisa di Parma. Il bozzetto fu consegnato da Goya alla Real Fábrica de Santa Bárbara il 12 agosto 1777 ed è così descritto dallo stesso artista nella ricevuta di consegna: “rappresenta una ragazza seduta su una riva, con un cagnolino e con un ragazzo al suo fianco che le fa ombra con un parasole”. Alla semplicità del soggetto fa riscontro l’assoluta libertà dell’invenzione, non più temi di caccia o composizioni allegoriche come voleva la tradizione nordica fiamminga, ma scene e figure ispirate al mondo reale e alla società contemporanea spagnola. La giovane donna protetta dall’ombrellino, oggetto di gran moda nel XVIII secolo, è infatti una maja, cioè una donna del popolo, che indossa un elegante e sfarzoso abito di foggia francese come avveniva in Spagna nei giorni di festa. La donna si mostra in tutta la sua bellezza al giovane majo vestito con il tipico abbigliamento madrileno e al pubblico a cui sembra rivolgere un civettuolo sguardo. Tutto contribuisce a rendere la scena un gioco di seduzione: i colori sgargianti delle vesti di lei, il cagnolino accucciato sul suo grembo, il sottile gioco di luci e ombre che il parasole crea sul volto della fanciulla. Luci e colori sono senza dubbio i principali protagonisti del dipinto e rivelano la conoscenza di Goya della pittura antica, in particolare di quella rinascimentale veneziana, ma non solo. Se l’influenza di Tiepolo e della pittura francese appare evidente nell’ariosità del dipinto, l’interpretazione profondamente realistica, il tema della seduzione, la tecnica pittorica con il colore steso direttamente sulla tela con la preparazione lasciata a tratti a vista, così come gli effetti di luce ottenuti con il bianco di piombo e il vivace gioco degli sguardi farebbero quasi pensare che l’occhio del maestro spagnolo si sia poggiato per un attimo anche sulla Buona Ventura di Caravaggio quando circa sei anni prima (1770-1771) venne in Italia e risiedette a Roma, dove frequentò la Scuola del Nudo in Campidoglio nella cui celebre Galleria la Buona Ventura già vi era conservata.
Buona Ventura
Il dipinto appartenne in origine al cardinale Francesco Maria del Monte nella cui collezione è documentato nel 1627. Venduto dagli eredi all’asta, fu acquistato nel 1628 dal cardinale Carlo Emanuele Pio (1585-1641) nella cui raccolta rimase fino al 1750. Ceduto insieme a gran parte della quadreria dal principe Giberto II (1717-1776) alla Reverenda Camera Apostolica, la tela entrò a far parte della Galleria dei Quadri fondata sul Campidoglio da papa Benedetto XIV nel 1748.
La Buona Ventura è tra le prime opere certe eseguite da Caravaggio nei primi anni romani ed è datata al 1597. Il dipinto costituisce uno dei più importanti esempi delle novità dirompenti introdotte in pittura dall’artista. Il soggetto del quadro è un episodio di vita quotidiana cui sembra di poter assistere in un giorno qualunque inoltrandosi tra i vicoli e le piazze della Roma di fine Cinquecento. Partendo dal fondo della tela, Caravaggio costruisce uno spazio indefinito ma reso reale dalla luce naturale che, invadendo il campo pittorico, costruisce forme e volumi.
I personaggi sono una zingara e un giovane cavaliere, modelli viventi, vestiti con abiti contemporanei, tratti dall’osservazione del vero. Il soggetto è dunque la verità di ciò che si vede, è la realtà come si presenta ai nostri occhi e la pittura la ricrea applicandovi correttamente le leggi dell’ottica.
Ma la chiave di lettura del quadro non è solo quella della trasposizione su tela di una scena di genere: il dipinto cela anche un altro significato, un’allegoria morale che risponde in pieno al clima controriformistico del tempo. La giovane e seducente zingara, con il pretesto di leggere il futuro al cavaliere, gli prende la mano e, con un gesto rapido, gli sfila l’anello dall’anulare destro: dunque un chiaro monito a non farsi ingannare dall’apparenza delle cose né a cedere alla seduzione dei falsi profeti.
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