Luigi Pirandello non nascose mai, anzi continuamente e pubblicamente ripropose una profonda insofferenza – umana, prima che letteraria – per il suo rivale in arte Gabriele d’Annunzio, al quale non risparmiò mai critiche tanto aspre da poter quasi essere considerate degli insulti. Tuttavia, a un certo punto della sua avventura di vita e di letteratura i toni aggressivi del Siciliano si attenuarono, andarono quasi diluendosi dentro una cordialità di forma che gli consentì perfino di curare la regia di un’opera teatrale del suo rivale abruzzese. La sotterranea, forse inconsciamente segreta e inconfessabile, ammirazione di Pirandello per d’Annunzio, nascosta dietro l’astio apparente, emerse d’improvviso quando Pirandello trovò nelle pagine dannunziane del Vangelo secondo l’Avversario (1924) perfino i motivi di ispirazione per vergare le ultime battute del suo più grande romanzo: Uno, nessuno e centomila (1926)…