Il processo di Franz Kafka è un’opera che ci trascina nelle profondità delle esperienze più intime e tormentose dell’esistenza umana: la solitudine, l’alienazione e un senso di colpa senza un’origine chiara o definita.
Josef K. è solo, isolato in un mondo che lo accusa senza motivo. La sua colpa non ha forma né volto. È un’ombra che lo perseguita e, come noi, è intrappolato in un labirinto esistenziale fatto di domande senza risposte.
L’opera parla di una colpa ingiustificata, un peso che grava sull’anima senza una ragione evidente: la sensazione di essere fuori posto in una società che ci impone di conformarci senza dirci come. È la colpa di esistere, di far parte di un sistema che non ci comprende e che ci rimane incomprensibile.
Il fatto che Kafka non abbia mai concluso il suo romanzo riflette una verità esistenziale e universale: la vita stessa è incompiuta. Non ci sono risposte, né conclusioni, solo un perpetuo interrogarsi, un viaggio nel vuoto alla ricerca di un senso che forse non esiste, in una realtà che sembra escluderci e condannarci per il semplice fatto di essere vivi.
Il programma potrebbe subire variazioni