Il suo dialogo con l’eredità di Pier Paolo Pasolini si manifesta nel corpo, inteso come luogo di metamorfosi e rivelazione. In questo solo, la danza si fa eco di una sensibilità che affonda nel tempo, raccogliendo segni e tracce di un passato che risuona nel presente. Le “lucciole” di Pasolini, evocate nel celebre articolo del 1975, non appaiono come immagini esplicite, ma come una postura poetica che guida il movimento. La loro assenza diventa luce, un bagliore che trasforma il corpo in una molteplicità di presenze, sfuggendo a ogni definizione univoca. Lo sguardo dello spettatore è chiamato ad attraversare strati di senso, senza fissarli, senza chiuderli. Qui, la danza non è solo rappresentazione di diversità, ma la sua incarnazione piena. Il corpo si espone, si trasforma, si sottrae a letture definitive. Tra vissuto interiore ed esperienza condivisa, la scena si apre a un orizzonte di possibilità sempre nuove.