Esposte in mostra 30 tele realizzate in tre Siti Unesco: la Reggia di Caserta, l’Anfiteatro di Pompei e il Colosseo. Il duo è stato tra i primi al mondo a “dipingere” dentro il Colosseo, l’immenso monumento che ha reso Roma celebre in tutto il mondo. E il risultato, anche in questo caso, è stato sorprendente: paesaggi nebulosi, colori che vanno dal rosso al blu fino a quelli della terra e delle montagne, variabili infinite di disegni indefiniti che hanno catturato l’anima, il Genius loci di quel luogo sacro.
La mostra ripropone un metodo di lavoro di trasformazione geneticamente modificata nella pittura senza il controllo degli artisti che genera superfici materiche di colori assolutamente frutto della casualità. Opere di matrice informale di una pratica artistica comune tra America ed Europa negli anni Cinquanta e che unisce insieme Arte e Scienza.
Le opere esposte e che provengono dalla vetta archeologica di antichi lustri, sono l’esito di un processo biologico che investe le muffe e tutte le relazioni sulla tela durante la permanenza controllata nei luoghi storici. La risultanza ha forme sorprendenti che si connettono ad artisti come Alberto Burri e Salvatore Emblema, evolvendo però la natura storica delle astrazioni informali, qui ricondotta ad un legame profondo con l’atmosfera, il microclima, i batteri, le componenti chimiche di sedimenti secolari e millenari. “Dipingere” con le muffe: è questa, infatti, l’arte creativa dei TTOZOI, gli artisti famosi nel mondo per saper creare, appunto, arte con le muffe e le spore dei siti archeologici.
Le loro tele grezze, bagnate solo di acqua e farina, sapientemente miscelate a quattro mani, vengono poi completamente sigillate, chiuse in teche di legno sovrapposte e lasciate al buio per circa 40 giorni. Eppure, nulla è lasciato al caso: I TTOZOI decidono, con metodo e disciplina, quando fermare il processo, optando per un istante di chiusura, così come nella vita si sceglie un inizio che conduca al conseguente epilogo. Dal momento in cui le muffe sono bloccate, l’opera rende l’impronta materica un segno definitivo, una nuova superficie che metabolizza la metafora e la somiglianza mimetica.
Il risultato di tutte le opere appartiene alla biologia dei luoghi dove sono state messe a dimora e dipende dal tempo di permanenza dei siti storici, dove viene lasciato che le muffe naturali diventino forma e immagine pulsante. Una forma che si può solo inizialmente ipotizzare ma che cambia da luogo a luogo e si impregna del Genius loci, appunto, del sito archeologico che li ospita.