IFIGENIA IN AULIDE

IFIGENIA IN AULIDE

Spettacolo diretto da Alessandro Machìa

Nell'ambito di Teatri in Comune 2022-2023

06.10.2023 ─
08.10.2023
Teatro Tor Bella Monaca
Via Bruno Cirino

Informazioni

di Euripide
regia Alessandro Machìa
versione italiana Fabrizio Sinisi
con Andrea Tidona, Alessandra Fallucchi, Roberto Turchetta, Carolina Vecchia
e con Lorenza Molina, Nicole Mastroianni, Vanessa Guidolin, Chiara Scià
con la partecipazione di Paolo Lorimer nel ruolo di Menelao
scene Katia Titolo
costumi Sara Bianchi
luci Giuseppe Filipponio
suono Giorgio Bertinelli
movimenti coreografici Fabrizio Federici
assistente alla regia Lorenzo Molina
organizzazione Rossella Compatangelo
ufficio stampa Maya Amenduni
comunicazione Sofia Chiappini
foto e grafica Manuela Giusto

Zerkalo

Ultima delle tragedie euripidee, rappresentata postuma nel 399 a.C. in un periodo di profonda crisi del modello della pòlis greca – di lì a poco ci sarebbe stata la disfatta di Atene contro Sparta e la fine di un modello politico e democratico; Ifigenia in Aulide è una tragedia ambigua in cui, come nell’Alcesti, si mette in scena un sacrificio e una morte che poi si riveleranno apparenti. Gli dèi di fatto non ci sono più, il tragico sembra franare: gli eroi in Euripide sono solo uomini lacerati, deboli, mutevoli che agiscono in base ai loro desideri e alle loro paure, lontani anni luce sia dal modello omerico che da quello eschileo. A dominare è la ragione strumentale e il discorso del potere. Emblematico, in questo senso, è il trattamento che Euripide fa di Achille, eroe demitizzato, quasi un personaggio comico, incapace di corrispondere al suo stesso mito originario; che non agisce, evita lo scontro con i soldati facendosi paladino, alla maniera dei sofisti, della persuasione e del dialogo, pur ripetendo – quasi volesse rincorrere quell’Achille omerico che Euripide non gli permette di essere – che lui salverà Ifigenia. Come quando dice a Clitemnestra: «Ti sono apparso come un dio e non lo ero. Ma lo diventerò». Nella costruzione dello spettacolo, si è voluto seguire il trattamento euripideo del mito cercando di far emergere la violenza che abita il testo e le contraddizioni di personaggi che Euripide presenta come “umani troppo umani”; la loro inadeguatezza al mito, l’abisso del privato al di sotto del mascheramento della parola pubblica, l’ambizione, la doppiezza. Tutto è ambiguo, apparente, a cominciare dal dialogo iniziale tra Menelao e Agamennone, da cui emergono due figure deboli, mediocri e velleitarie, che si scambiano accuse dicendo la verità l’uno dell’altro.
In questa versione di Fabrizio Sinisi, Agamennone è costretto dalla necessità verso cui lo spingono gli eventi a sacrificare Ifigenia, trascinato dal motore della Storia e da quella impossibilità di conciliare l’essere re con l’essere padre. Ma, ancor di più, a venire alla luce attraverso il verso di Sinisi è l’umano euripideo che, oltre le costrizioni oggettive in cui si trova incastrato il re, fa emergere il suo desiderio, la sua personale ambizione sempre accompagnata dalla paura e dall’incapacità di agire.
L’abbassamento di tutti i personaggi della tragedia è funzionale all’innalzamento della giovane Ifigenia, “nata forte”, che decide di sacrificarsi, di accettare e addirittura di volere il destino che è stato scelto per lei dal padre, in un trionfo di amor fati che solo può riscattare dalla febbre fagocitante che qui prende tutti i personaggi della tragedia – compresa Clitemnestra – ora lontanissima dalla donna implacabile e inconciliabile descritta nell’Orestea di Eschilo. Nell’esaltazione finale nella quale Ifigenia accetta la sua morte, c’è l’assunzione piena del punto di vista del padre Agamennone e del maschile, ma non per debolezza: accettando e decidendo la sua morte Ifigenia si individualizza, esce dall’indistinzione diventando ‘qualcosa’ nella morte imminente, un comandante lei stessa, sollevando allo stesso tempo il padre amato dalla piena responsabilità del sacrificio.
Una scelta netta della regia è stata quella di recuperare nell’esodo, considerato spurio, l’ipotesi che a raccontare della sostituzione di Ifigenia con una cerva non fosse un messaggero ma il deus ex machina della dea Artemide.

Il programma potrebbe subire variazioni

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