Il problema si pone quando a calare sono traiettorie in calcestruzzo armato e acciaio, alte 90 metri e lunghe più di un chilometro. Il 14 agosto 2018, a Genova, crolla la linea più importante della città, portando con sé, seppellendo sotto le macerie, le traiettorie personali di 43 persone che, cadute, non potranno più rialzarsi.
Lo spettacolo si apre con una favola, una favola che è meglio non raccontare ai bambini. La favola racconta le vicissitudini di uno Stato a forma di stivale, popolato da ricchi in salute e poveri ammalati. In un quadro generale di violenza e disperazione, gli unici salvatori sono i pochi ricchi rimasti nel Paese, come il Cavaliere o il Conte. Si delinea dunque uno scenario distopico (o fin troppo simile al vero?): un’oligarchia sempre pronta a reinventarsi e a tutelarsi a discapito delle fasce di popolazione meno abbiente. Nell’ humus di debolezza e povertà prende vita l’antagonista della favola: un ponte animato. Un ponte animato che, stanco, pretende pensione e contributi, rinnegati ad oltranza. Il meccanismo si rompe. La favola termina. I bambini si sono svegliati. Il Ponte non pretende davvero la pensione ma è crollato lo stesso, e con lui 43 persone. Inizia dunque ciò che prima si denominava “teatro civile”: una satira amara e crudele, ricca di attacchi ad personam e dati certificati, atta all’indignazione dello spettatore. Si ripercorre il cammino già in partenza faticoso del Ponte Morandi, partendo dal bando indetto dall’ ANAS nel 1963 per la costruzione di un viadotto, fino alle più recenti fasi del processo che si concluderanno solo nel 2025. In mezzo, più di sessant’anni di storia, di storia di politica italiana, di economia italiana, di malversazioni italiane. Attraverso il racconto di ciò che è stato – e che non è Stato – si cercherà una ragione, una spiegazione dove spiegazione non c’è.
Il programma potrebbe variazioni