Circola, esitante ma non troppo, intorno al cruccio del dare i nomi alle cose. Indugia sull’insofferente quanto antica lotta con i nomi, sul conflitto amoroso e violento con il linguaggio, con il suo agire sul corpo, sui corpi, ma rivela un rendere grazie alle parole, un reclamarne la presenza e un’attenzione nel pronunciarle. Si domanda come possano diventare materia sovversiva. Dove non sembra possibile contare sui nomi, se non sembra possibile trovare un nome che non sia sempre già anacronistico, si sceglie di figurarsi una narrazione intorno a una forma che è un pretesto, di raccontarsi una storia senza centro intorno a una parola che non c’è ancora, che non c’è più, che manca. Ha la forma di una lettera d’amore, di mancanza, di filosofia, di rivoluzione.
Il programma potrebbe subire variazioni