Giocare una partita a monopoli è il modo migliore per avvicinarsi a Uomo senza mèta. Il gioco da tavolo per definizione lo si può considerare a tutti gli effetti un corso accelerato di capitalismo. Proprietà, trattative, case, alberghi, debiti, ipoteche – un capitalismo novecentesco, certo, ma identico allora come oggi nella sua tossicità emotiva: depressione per l’agonia che accompagna la perdita; euforia isterica ed ingorda nel caso di una possibile vittoria. Uomo senza mèta vive di questa tossicità: Peter, un imprenditore pieno di progetti e iniziative, decide di fondare una nuova città sui terreni incontaminati di un fiordo norvegese.
Trent’anni dopo, la città è nel pieno del suo sviluppo e accanto a Peter si riuniscono quelli che sembrano essere i suoi affetti: una ex-moglie, una figlia ed un fratello. Cos’è successo in questo lasso di tempo? E perché i familiari di Peter sembrano non avere memoria? Nuova produzione del Teatro di Roma, la drammaturgia di Arne Lygre intreccia microsaga familiare, dissezione anatomica dei nostri sentimenti in tempi di neoliberismo trionfante e crudele favola politica: “Il tempo non è così importante – ci si conosce all’istante oppure non ci si conosce affatto”.
Il programma potrebbe subire variazioni