Roma Visiva | Prima giornata
Cronaca della prima giornata della rassegna a Casa del Cinema dedicata ai talenti femminili che hanno operato nel mondo dell’arte visiva, dall’Ottocento ad oggi
Margherita Hack, prima donna a dirigere un osservatorio astronomico. Emma Carelli, soprano, prima donna a dirigere un teatro dell’Opera. Rosa Oliva, prima donna a poter diventare prefetto. Giulia Solomita, prima donna autista di autobus. E ancora, Tina Lagostena Bassi, avvocato, prima donna a usare la parola “stupro” in un’aula di tribunale. Sono stati i volti di alcune pioniere, in Italia, in settori diversi, contro gli stereotipi femminili, nelle pillole della serie La prima donna che di Rai Documentari, a farsi “sipario” e segnatempo, nella prima giornata di Roma Visiva 2021, rassegna che, per tre giorni, fino al 10, a Casa del Cinema, punta l’attenzione sui talenti femminili che hanno operato nel mondo dell’arte visiva, dall’Ottocento ad oggi. L’assessora alla Crescita culturale Lorenza Fruci ha ricordato che ci sono tantissimi talenti femminili e artiste poco conosciute e riconosciute. La rassegna è il frutto di una call, una di sorta di “chiamata alle arti” per giornalisti, critici, curatori, studentesse che hanno fatto delle proposte.
Molti e diversi gli ambiti presi in esame, per storia ma anche per modalità di narrazione, comunicazione, divulgazione. E così ad essere indagato, prima di tutto, è il backstage della serie, a partire dalle ricerche. «La bellezza dell’archivio Rai – dice Maria Pia Ammirati, direttrice Rai Fiction – è stato documentare il Paese a partire dagli anni Cinquanta. Abbiamo Guttuso e Pasolini, per dire, e tutte le donne che piano piano negli anni sono emerse nella cultura italiana, ma anche le persone comuni, nostro grande patrimonio, che si portano indietro come eravamo, come vestivamo, come parlavamo. La valorizzazione è andata verso le scuole, le università, che possono vedere e sentire l’Italia, e poi verso la parte creativa, il cinema, la documentaristica». Uno e più strumenti e opportunità per riscoprire la storia del Paese, delle sue battaglie, dei suoi cambiamenti. Per fare educazione. Di più, cultura. «Mi piace la sfida – commenta Duilio Giammaria, a capo di Rai Documentari – Sono ragazze che si identificano nelle storie raccontate. Sono sicuro che abbiamo evocato delle vocazioni, in ragazze ma anche signore. Speriamo di poter continuare con questo progetto, facendo pure evolvere il format. La prossima volta, magari saranno le ragazze a dire quello che stanno facendo, ispirate da altre donne. Dobbiamo essere una società che sfida. Dobbiamo insegnare a ragazze e ragazzi a sfidare la società». Alessandra Di Michele Bragadin, ideatrice della serie, conferma: «La parola dietro questo format è “coraggio”. Tutte queste donne che raccontiamo hanno avuto grande coraggio. Hanno aperto una strada nuova. E le ragazze che hanno raccontato le storie nelle pillole si sono cimentate in qualcosa che non avevano mai fatto prima. La parola del 2021 e del nostro futuro, per me, è “coraggio”». Tra i protagonisti dell’incontro, moderato da Clara Tosi Pamphili, pure due delle voci narranti delle pillole, Annaflavia Merluzzi, studentessa di Filosofia, e Laura De Luca, studentessa di Scienze dell’Educazione.
Sul palco, poi, Piersandra Di Matteo, direttrice Short Theatre, e Anna Bisogno, professore associato di Cinema Radio Televisione presso l’università Mercatorum. «Sono una studiosa e sono una curatrice – dichiara Di Matteo – la parola “curatela” è più spesso usata nelle arti visive, nel mondo delle arti performative è stata presa in carico dagli anni Dieci del Duemila. La curatela, nelle arti performative, consente di stabilire relazioni operative nel team di lavoro, segna anche la possibilità di creare nuove forme di cortocircuito tra le realtà operanti. Curatela ha, al suo interno, la parola “cura”. Significa non soltanto lavorare alla programmazione di eventi, ma creare spazi di incontro, mondi segnati dall’inclusività».
L’archivio come strumento “vivo” di tutela, riscoperta, valorizzazione della memoria è fondamentale pure nell’intervento di Anna Bisogno su Immagini ed immaginario. La Roma di Raffaella Carrà: «Parlare di Roma e Raffaella Carrà significa parlare di due patrimoni che formano la cultura visuale. Le connessioni non potevano non esserci. Raffaella Carrà vede Roma, come l’orizzonte, il sogno, la prospettiva del suo essere nel futuro. Stiamo parlando di un’artista che è stata definita icona, ma che in realtà è molto di più. Il caschetto biondo e il sorriso non sono solo elementi fisici e posturali, ma parte del linguaggio Carrà, che ha attraversato cinquant’anni». Roma, per Raffaella Carrà, è la città delle prime delusioni, quando a scuola di danza l’insegnante pare confidare poco nelle sue capacità, e i successivi e numerosi successi. «È stata una delle poche intrattenitrici dello spettacolo italiano a guadagnarsi sul campo il titolo di icona», prosegue Anna Bisogno. Di memoria in memoria, ad essere composta è una sorta di “mappa” della città, sulla base di vita, carriera, successi dell’artista. Anche “sfide”, evidenti seppure non dichiarate, come il Tuca Tuca ballato con Alberto Sordi, nel 1971, a Canzonissima. «La Carrà non ha bisogno di dire che quel ballo sdogana dei costumi – aggiunge – La Carrà non è mai apertamente intervenuta su temi di omosessualità, femminilizzazione e così via. Ha ballato, cantato, condotto, non ha mai avuto la necessità di affrontare i temi. Le icone non sono quelle che si autocelebrano ma quelle che vengono riconosciute come tali».
Gallerie dell’arte in rosa è il titolo dell’intervento di Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali, che propone un approfondimento sulle grandi figure femminili dell’arte a Roma. Ecco allora Irene Brin, all’anagrafe Maria Vittoria Rossi, ma anche Carla Panicali. Ancora, Topazia Alliata, cui nel corso della rassegna sarà dedicato un focus, Angelica Savinio, ricordata pure per la prima mostra di pop art a Roma, Mara Coccia. «Le conosciamo tutti – sottolinea Maria Vittoria Marini Clarelli – ma pensare che c’ erano tutte insieme non è così ovvio». Ancora, Maria Colao – «Era straordinaria la capacità di recuperare libri in giro per l’Europa. Anche testi internazionali che non era facile trovare a Roma», sottolinea la Sovrintendente – la Cooperativa Beato Angelico, Graziella Lonardi Buontempo.
L’ultimo appuntamento della prima giornata di Roma Visiva è con Costantino D’Orazio, per la presentazione del suo libro Vite di artiste eccellenti, percorso alla riscoperta delle artiste dall’antichità a oggi. «Si tratta di una ricerca pubblicata a giugno di quest’anno – spiega D’Orazio – non è solo un libro che parla di storie di donne ma cerca di indagare il contributo dato dalle donne all’arte in ogni epoca». Lo spunto è la domanda posta, nel 1971, da Linda Nochlin: “Perché non ci sono state grandi artiste?”. La risposta è nella mancanza di opportunità per le donne. «Soltanto nel 1870 le accademie d’arte d’Europa ammettono le donne nelle sessioni di studio del nudo dal vero – sottolinea D’Orazio – Le vicende delle artiste si intrecciano ai pregiudizi sociali del tempo». Tra le pioniere, Plautilla Nelli, a Firenze, nel Cinquecento. «Plautilla – dice D’Orazio – fa un’opera rivoluzionaria: eredita alcuni disegni dai frati domenicani, su quelli si esercita e apre una bottega, tutta al femminile, all’interno del monastero, dove si producono dipinti per il monastero e altre chiese di Firenze. Vasari ci dice che Plautilla diventa talmente nota per le sue qualità che le grandi famiglie fiorentine chiedono le sue opere. Così, le opere dal monastero entrano nelle grandi collezioni. Come firma, chiede una prece ma si definisce “pictora”». L’attenzione si sposta poi su Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e molte altre. Per guardare a forza e “visioni” delle donne, tra arte e storia.
La conclusione è affidata a un contributo video di Enza Plotino per il suo libro Percorsi femminili a Roma. Per rileggere pure la città.